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IL SOGNO DELLA FARFALLA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 14 maggio 1995
 
di Marco Bellocchio, con Thierry Blanc, Simona Cavallari, Nathalie Boutefeu, Bibi Andersson, Ketty Fusco (Italia - Svizzera, 1994)
 

"Il caso di Marco Bellocchio è quello di un manipolatore di immagini indubbiamente toccato dalla grazia (si pensi al più invidiabile degli esordi, quello de I PUGNI IN TASCA; a tutta la sua carriera, pur costituita da inquietanti sussulti fino all'interessante e seducente DIAVOLO IN CORPO del 1986): ma progressivamente fagocitato, forse plagiato dalla personalità del proprio psiconalista-guru Massimo Fagioli. Immancabilmente autore del progetto e della sceneggiatura di questo IL SOGNO DELLA FARFALLA.

Storia di Massimo, giovane attore che ha scelto di non più parlare. Analisi di un'ipocrisia, nelle intenzioni degli autori: rinunciare a parlare, rifugiarsi unicamente nell'enunciazione di quei testi teatrali che Massimo utilizza anche nel quotidiano, significherebbe denunciare la corruzione del linguaggio. L'uso esclusivo della parola altrui, che non intacchi il proprio pensiero, la purezza della propria personalità: "da quando gli uomini hanno cominciato a parlare è iniziata la fine del mondo"... Aggiungete ancora che il testo che il protagonista dovrebbe mettere in scena è scritto dalla Madre (le maiuscole sono quelle degli autori del press-book...), che il Padre ospita la famiglia mentre si scatena il terremoto apocalittico fra le rovine mitiche del passato, ed avrete un quadro sufficientemente eloquente della faccenda. Quella di un cineasta dalle immagini ancora eleganti, dalla scelta dell'ambientazione più che appropriata, da un uso del dialogo più insopportabilmente manierista e la direzione degli attori ormai teatralmente deambulatoria: completamente perso in una simbologia così goffa da scadere talvolta nel ridicolo.

Bellocchio è sempre stato un cineasta dell'invenzione, dell'intuizione registica. Tutto gli è riuscito, nella descrizione dei confini fra la ragione e la follia, della passione quale rivolta irrazionale nei confronti del potere e della violenza, quando è riuscito ad abbandonarsi liberamente alla propria grazia creativa. Tutto gli è rovinato invece addosso quando ha cercato di spiegare, di enunciare e dissertare sulle ragioni di quei confini: figurarsi qui, quando la sua scelta (o quella dettata da altri) diventa quella del distacco, della fredda osservazione di un comportamento. Quella dell'autore si fa muta allora in una castrazione espressiva: che annienta la qualità di uno sguardo ancora autentico, ma clamorosamente dilapidato."


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